“C’era un errore!” il grido di vittoria è quello di una ragazzina che ha appena scoperto una trascrizione errata in un libro digitalizzato dal Mart di Rovereto per il progetto Libri di Guerra.
Adesso la correggiamo insieme. Ecco si fa così: hai corretto un errore e ora grazie al tuo impegno tutti possono leggere, scaricare e stampare questa pagina di un romanzo di Kipling.
Insieme ad altri 7-8 adolescenti, la ragazzina era lì per partecipare a un lavoro di gruppo su Wikisource: grazie al contributo volontario della community del CoderDojo di Trento, un gruppetto di ragazzini e genitori si erano dati appuntamento alla Biblioteca Comunale di Trento per rintracciare errori e sterminarli.
Gli errori esistono perché non si possono fare le frittate senza rompere uova. I musei e le biblioteche d’Italia sono pieni di uova – intendo di dati, e nella stragrande maggioranza dei casi li nascondono.
Lo fanno perché se si pubblicano i dati, si scoprono errori, refusi, inadeguatezze, descrizioni disomogenee, conflitti, soldi buttati in acquisti di database inadeguati decisi da incompetenti. Inoltre, il lavoro necessario per pubblicare dati, in una fase intermedia può addirittura aumentare gli errori. Ad esempio, quando si digitalizza un libro per renderlo disponibile su Wikisource, capita che il software di riconoscimento automatico della scrittura faccia pasticci, e interpreti una i come l, o una n come h. Quindi ci vuole un umano – un gruppo di umani – che corregga gli errori.
La soluzione comoda e rassicurante è non fare niente di tutto questo: non digitalizzare, non pubblicare, non rendere disponibile. Nessuno protesterà, almeno per i prossimi 10 anni, c’è tutto il tempo di andare in pensione tranquilli.
L’alternativa è ammettere che il museo o la biblioteca non sono santuari della perfezione, che possono e devono restituire al pubblico le informazioni che conservano – perché già pagate dalle tasse dei cittadini – e che se, nel farlo, saltano fuori degli errori, non è un dramma. Ci sono persone, come ad esempio gli adolescenti, che trovano eccitante l’idea di aiutare un museo a correggere errori. Sempre che i musei lo vogliano, il coinvolgimento degli adolescenti.
Personalmente, adoro gli errori: sono lì a ricordarci che siamo umani, che la realtà esiste davvero ed è indipendente da noi. Ogni tanto mi capita di incontrare persone che odiano gli errori. Non ne ammettono nemmeno l’esistenza. Gli errori – pensano – non dovrebbero esserci. Quindi non ci sono. E se poi salta fuori che ci sono, si finge che non ci siano. Interi settori dell’amministrazione pubblica italiana, specialmente per quanto riguarda il patrimonio culturale, sono costruiti su queste fondamenta di ricotta.
Invece, riconoscere gli errori è liberatorio. Perché se c’è un posto per gli errori, allora c’è un posto anche per le soluzioni.
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